Adolescenti e web: il pericolo dietro l'angolo
Adolescenti e web: il pericolo dietro l'angolo, il titolo della nuova puntata del 24/10/2020 di Imagine - Il Mondo Che Vorrei. Una nuova inchiesta su un problema dilagante, fenomeni tipo blue whale ed altri creati sui vari social, che allontanano i ragazzi dal mondo della realtà e che li conducono in veri e propri vicoli ciechi.
Ne abbiamo parlato con una nostra ospite, una grande cantante dalla voce soave nonché amica di tutti noi di Onda Web Radio, Cristina Cafiero.
Oggi rilasciamo tranquillamente dati sensibili, diciamo con disinvoltura dove ci troviamo, firmiamo commenti terribili coi nostri nomi e cognomi. Noi della nostra generazione di “ottantini” non lo facevamo, sapevamo che non era sicuro, scambi di foto e altri dati arrivavano dopo svariato tempo di conoscenza virtuale. Però ci prendevamo cura del nostro nickname, ne eravamo responsabili. Connettersi ad internet significava aprire la finestra di dialogo del modem e cliccare sul tasto "Connetti”, il tutto impiegando svariati minuti, per poi sentire un suono stridulo, quasi come fosse un alieno piombato in casa. I computer erano più lenti, il modem collegato impediva di utilizzare la stessa linea per le telefonate.
Oggi tutto è cambiato, la tecnologia come la società si è evoluta ( e qui potrei soffermarmi sul concetto evoluzione o involuzione? ), ragazzini si iscrivono ai social network senza chiedere l’autorizzazione ai genitori pur avendo meno di 14 anni. Secondo una ricerca, quasi quattro giovani su dieci ammettono di non conoscere personalmente almeno la metà degli amici o dei “follower” che hanno sui social. E, spesso, tra questi “follower” si nascondono anche amici inesistenti: il 68% dei giovani intervistati, almeno una volta, si è imbattuto in un profilo falso. Ma c’è anche chi se lo fa un profilo falso per controllare qualcuno per scherzo ma anche per vendicarsi o per vergogna del proprio aspetto.
Leggendo questi dati mi sono fermato un attimo a riflettere, su quanto inconsapevolmente siamo stati “fortunati” noi di una generazione passata, dove non essendoci tecnologia sufficiente abbiamo vissuto un ultimo scorcio di vera vita sociale ( e non non social ) e di vera infanzia, quasi di innocenza ( cosa che suscita tenerezza e una classica lacrimuccia di nostalgia ), rispetto alla generazione dei ragazzini di oggi, sempre più social e meno sociali. Il problema è soprattutto di aspetto sociologico: molti ragazzini, compresi quelli delle scuole medie, usano alcuni social ( whatsapp, youtube, telegram ), motivo che per altri, magari anche meno affascinati da quel mondo, tendono a farne parte per non essere esclusi dagli altri, cadendo in una sorta di vicolo cieco.
Abbiamo parlato di blue whale, o balena blu, per dirla all’italiana. Non sappiamo dove sta la verità ( chi dice sia vero chi l’esatto contrario ), ma ciò di cui abbiamo voluto approfondire è il dilagarsi della violenza psicologica nei confronti di adolescenti, molto più suscettibili di un adulto a lasciarsi abbindolare da menti perverse che si nascondono da vigliacchi dietro ad un monitor.
Abbiamo già parlato poche puntate fa degli influencer e delle loro challange, alcune delle quali al limite della normalità, che impazzano sui social, riscuotendo sempre maggior successo, e il Blue Whale è proprio una challange, una sfida lanciata sui social da irresponsabili che, in nome del successo personale, rovinano la vita di giovani. Un fenomeno che sarebbe partito dalla Russia per poi diffondersi in America Latina e ora anche in Europa: dalla Spagna al Portogallo, ma anche alla Francia e alla Gran Bretagna. Dopo 50 giorni di prove sempre più perverse e di autolesionismo porterebbe al suicidio. La sfida inizia attraverso ( guarda caso ) internet e prevede una serie di prove da superare coordinate da un tutor. Si comincia iniziando a disegnare balene ( scelte come simbolo perchè si suicidano spiaggiandosi sulle coste senza apparente motivo ), fino ad arrivare alla visione di film horror, alzarsi prestissimo, corse notturne e, infine, saltare da un edificio alto perdendo la propria vita ( e dopo ogni sfida devono essere cancellate foto per eliminare eventuali prove ). Lo scopo di questi gruppi di challange non sarebbe quello di indurre i giovani al suicidio ma di fare marketing per avere pubblicità, notorietà.
Non potevamo non citare un episodio molto grave accaduto non più di un mese fa a Napoli, parliamo di Jonathan Galindo.
Lo scorso 30 settembre i principali giornali italiani hanno riportato la tragica notizia di un ragazzino di 11 anni che si è tolto la vita lanciandosi dal balcone di casa. La Procura di Napoli avrebbe aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Tablet, cellulari e PlayStation sarebbero stati sequestrati dalla Polizia Postale per essere esaminati. Tuttavia, trattandosi di un argomento molto delicato, la polizia non ha diramato nessun comunicato ufficiale, per cui i dettagli pubblicati dai giornali arrivano da fonti riservate dei cronisti. Jonathan Galindo è in realtà una maschera, sarebbe la riproduzione di Pippo, personaggio della Disney, sotto effetto di acidi. Ad inventare questa maschera, inizialmente per una visione da adulti iper-realistica, fu Samuel Catnipnik, famoso produttore di effetti cinematografici, che appena venuto a conoscenza dell’uso che se ne sta facendo, ha preso le distanze dai fatti di cronaca. Non c’è una sola persona dietro questo vergognoso modo di interagire sui social, adescando minorenni, ma in ogni paese possono esserci più Galindo. Il fenomeno è nato in Spagna ed alcuni del Sud America, servendosi soprattutto della nuova piattaforma tanto usata dai giovani, Tik Tok ( su questo social e degli altri molto usati dai giovani ne faremo una puntata dedicata ). I poveri ragazzini sono intimoriti dai Jonathan che infatti minaccia i ragazzini di far male ai propri cari, qualora non si dovessero portare avanti tutte le sfide, una cinquantina, fino all’atto finale: il suicidio.
Tutto questo non può non mettere in evidenza a genitori ed educatori i pericoli che i bambini e i ragazzi possono incontrare in quella dimensione sconfinata e piena di insidie che è internet. L’attenzione e il dialogo sono fondamentali per evitare che gli adolescenti cadano vittime di persone spesso affette da disturbi psichiatrici, o malvagie e manipolatrici, che talvolta si rifugiano sul web perché incapaci di costruire una rete di relazioni reali e trovano più semplice adescare piccole vittime ingenue e indifese per imprigionarli in un mondo oscuro, in un gioco che in realtà non è un gioco.
Ne abbiamo parlato con una nostra ospite, una grande cantante dalla voce soave nonché amica di tutti noi di Onda Web Radio, Cristina Cafiero.
Oggi rilasciamo tranquillamente dati sensibili, diciamo con disinvoltura dove ci troviamo, firmiamo commenti terribili coi nostri nomi e cognomi. Noi della nostra generazione di “ottantini” non lo facevamo, sapevamo che non era sicuro, scambi di foto e altri dati arrivavano dopo svariato tempo di conoscenza virtuale. Però ci prendevamo cura del nostro nickname, ne eravamo responsabili. Connettersi ad internet significava aprire la finestra di dialogo del modem e cliccare sul tasto "Connetti”, il tutto impiegando svariati minuti, per poi sentire un suono stridulo, quasi come fosse un alieno piombato in casa. I computer erano più lenti, il modem collegato impediva di utilizzare la stessa linea per le telefonate.
Oggi tutto è cambiato, la tecnologia come la società si è evoluta ( e qui potrei soffermarmi sul concetto evoluzione o involuzione? ), ragazzini si iscrivono ai social network senza chiedere l’autorizzazione ai genitori pur avendo meno di 14 anni. Secondo una ricerca, quasi quattro giovani su dieci ammettono di non conoscere personalmente almeno la metà degli amici o dei “follower” che hanno sui social. E, spesso, tra questi “follower” si nascondono anche amici inesistenti: il 68% dei giovani intervistati, almeno una volta, si è imbattuto in un profilo falso. Ma c’è anche chi se lo fa un profilo falso per controllare qualcuno per scherzo ma anche per vendicarsi o per vergogna del proprio aspetto.
Leggendo questi dati mi sono fermato un attimo a riflettere, su quanto inconsapevolmente siamo stati “fortunati” noi di una generazione passata, dove non essendoci tecnologia sufficiente abbiamo vissuto un ultimo scorcio di vera vita sociale ( e non non social ) e di vera infanzia, quasi di innocenza ( cosa che suscita tenerezza e una classica lacrimuccia di nostalgia ), rispetto alla generazione dei ragazzini di oggi, sempre più social e meno sociali. Il problema è soprattutto di aspetto sociologico: molti ragazzini, compresi quelli delle scuole medie, usano alcuni social ( whatsapp, youtube, telegram ), motivo che per altri, magari anche meno affascinati da quel mondo, tendono a farne parte per non essere esclusi dagli altri, cadendo in una sorta di vicolo cieco.
Abbiamo parlato di blue whale, o balena blu, per dirla all’italiana. Non sappiamo dove sta la verità ( chi dice sia vero chi l’esatto contrario ), ma ciò di cui abbiamo voluto approfondire è il dilagarsi della violenza psicologica nei confronti di adolescenti, molto più suscettibili di un adulto a lasciarsi abbindolare da menti perverse che si nascondono da vigliacchi dietro ad un monitor.
Abbiamo già parlato poche puntate fa degli influencer e delle loro challange, alcune delle quali al limite della normalità, che impazzano sui social, riscuotendo sempre maggior successo, e il Blue Whale è proprio una challange, una sfida lanciata sui social da irresponsabili che, in nome del successo personale, rovinano la vita di giovani. Un fenomeno che sarebbe partito dalla Russia per poi diffondersi in America Latina e ora anche in Europa: dalla Spagna al Portogallo, ma anche alla Francia e alla Gran Bretagna. Dopo 50 giorni di prove sempre più perverse e di autolesionismo porterebbe al suicidio. La sfida inizia attraverso ( guarda caso ) internet e prevede una serie di prove da superare coordinate da un tutor. Si comincia iniziando a disegnare balene ( scelte come simbolo perchè si suicidano spiaggiandosi sulle coste senza apparente motivo ), fino ad arrivare alla visione di film horror, alzarsi prestissimo, corse notturne e, infine, saltare da un edificio alto perdendo la propria vita ( e dopo ogni sfida devono essere cancellate foto per eliminare eventuali prove ). Lo scopo di questi gruppi di challange non sarebbe quello di indurre i giovani al suicidio ma di fare marketing per avere pubblicità, notorietà.
Non potevamo non citare un episodio molto grave accaduto non più di un mese fa a Napoli, parliamo di Jonathan Galindo.
Lo scorso 30 settembre i principali giornali italiani hanno riportato la tragica notizia di un ragazzino di 11 anni che si è tolto la vita lanciandosi dal balcone di casa. La Procura di Napoli avrebbe aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Tablet, cellulari e PlayStation sarebbero stati sequestrati dalla Polizia Postale per essere esaminati. Tuttavia, trattandosi di un argomento molto delicato, la polizia non ha diramato nessun comunicato ufficiale, per cui i dettagli pubblicati dai giornali arrivano da fonti riservate dei cronisti. Jonathan Galindo è in realtà una maschera, sarebbe la riproduzione di Pippo, personaggio della Disney, sotto effetto di acidi. Ad inventare questa maschera, inizialmente per una visione da adulti iper-realistica, fu Samuel Catnipnik, famoso produttore di effetti cinematografici, che appena venuto a conoscenza dell’uso che se ne sta facendo, ha preso le distanze dai fatti di cronaca. Non c’è una sola persona dietro questo vergognoso modo di interagire sui social, adescando minorenni, ma in ogni paese possono esserci più Galindo. Il fenomeno è nato in Spagna ed alcuni del Sud America, servendosi soprattutto della nuova piattaforma tanto usata dai giovani, Tik Tok ( su questo social e degli altri molto usati dai giovani ne faremo una puntata dedicata ). I poveri ragazzini sono intimoriti dai Jonathan che infatti minaccia i ragazzini di far male ai propri cari, qualora non si dovessero portare avanti tutte le sfide, una cinquantina, fino all’atto finale: il suicidio.
Tutto questo non può non mettere in evidenza a genitori ed educatori i pericoli che i bambini e i ragazzi possono incontrare in quella dimensione sconfinata e piena di insidie che è internet. L’attenzione e il dialogo sono fondamentali per evitare che gli adolescenti cadano vittime di persone spesso affette da disturbi psichiatrici, o malvagie e manipolatrici, che talvolta si rifugiano sul web perché incapaci di costruire una rete di relazioni reali e trovano più semplice adescare piccole vittime ingenue e indifese per imprigionarli in un mondo oscuro, in un gioco che in realtà non è un gioco.
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